
And come kiss me, salt water
Ed Sheeran “Salt WATER”
Oh, finally, I feel, at three or four degrees
I’m free in salt water
Embrace the deep and leave everything
It was just a dream
Si, lo so.
E’ passato un pò di tempo da quando non aggiorno questo blog.
Nel mezzo: una tesi di laurea da scrivere, due corsi di scrittura, l’inizio di un romanzo, un trasloco (e un altro imminente), tre settimane in Marocco.
Ma la voglia di scrivere, quella non è mai passata.
Ho deciso di pubblicare qui, un racconto che ho scritto per l’ultima lezione del secondo corso di scrittura che ho effettuato online con la Scuola Holden.
Il tema del breve racconto, di 2000 caratteri massimo, doveva riguardare una nostra ossessione, incastrandola in un episodio.
Può sembrare facile, ma innanzitutto, 2000 caratteri sono davvero pochi.
E incastrare il tutto non era affatto facile.
Il titolo è: Tre mesi.
“Tre mesi, 22 giorni. Ho contato a mente il tempo passato senza di te.
Era il sei di Marzo 2020, ripresi il volo Bari Bergamo delle 21.15, per tornare nella mia odiata Milano.
Un volo Ryanair, deserto, come mai mi era capitato. Quel Boeing viaggiava in un grave quanto insolito silenzio. Tornare in Lombardia in quei giorni di notizie precipitose e disastrose, per chi vi era costretto a starci, lontano da casa sua, suonava quasi come una condanna di reclusione in terzo grado.
Un qualcosa di incontrovertibile e immodificabile, da accettare, senza alcuna possibilità di replica.
Si tornava su, senza sapere se fosse possibile prima o poi, ritornare “giù”. Ci si godeva quelle ultime ore in volo senza sapere quando, di nuovo, avremmo potuto vedere tutto dai 10.000 piedi di altezza. Io e quella ventina di passeggeri presenti, in fondo lo sapevamo già.
Adesso che ricordo bene, è da lassù che ti ho visto l’ultima volta.
Di giorni ne sono passati, scivolati via accompagnati da interminabili dubbi e incertezze sulla fine di quella ingiusta condanna alla quale eravamo sottoposti.
Ricordo nei colloqui online con la psicologa di averle detto che quel lunedì di Pasquetta, capivo come un carcerato con “fine pena mai” si sentisse, mentre guardava dalla cella della sua prigione la gente fuori. Osservavo dalla finestra, quei pochi fortunati che potevano passare la giornata con la loro famiglia sui loro angusti e soleggiati balconi. Per me che ero solo, era una rara quanto magra fortuna.
Lei mi chiese cosa mi mancasse di più della vita normale, di cosa sentivo più la mancanza.
E io risposi che eri tu la cosa che mi mancava di più. Il tuo blu, il tuo celeste, il tuo odore, la tua brezza.
Mi mancavi tu, mare mio. Come lo spieghi a chi, come me, non ha avuto la fortuna di crescere con te una vita intera? E dovunque sia andato, in un modo o l’altro tu ci sei sempre stato. Come uno zio protettivo, come un amico che viene sempre in tuo soccorso, tu ci sei sempre stato.
E adesso, con la tua essenza fredda e salata abbracciami, e non lasciarmi più. E sussurrami all’orecchio che questi giorni cupi, alla fine, sono stati solo un sogno.“
Questo racconto è venuto fuori quasi da solo, in venti minuti.
L’ho scritto in un bellissimo bar, a Taghazout, sulla costa atlantica del Marocco. Uno dei pochi posti belli di quella cittadina, va detto, più somigliante ad una zona di guerra che ad un paesino piacente sul mare, come ci avevano descritto.
Immaginate un classico bar, con una doppia area, interna ed esterna.
Quella esterna era sulla scogliera a pochi passi dal mare, coperta da un pergolato in paglia, che riparava vari tavolini, animati unicamente da tutti i turisti della zona. Fra di loro, aleggiavano placidi cani e gatti randagi, in attesa di ricevere rimasugli di cibo da quei brulicanti umani.
Spero vi sia piaciuto, e di tornare fra queste righe più assiduamente.

